mercoledì 29 gennaio 2014

Preziosa Poesia

La nostra nuova guest star si chiama Chiara, si è sposata giovanissima questa estate e oggi ha scritto qualcosa per noi. Lei lo definisce un "piccolo contributo", io invece lo presento come una meravigliosa poesia! Appena letta mi sono commossa tantissimo. Sono rimasta paralizzata per tre lunghissimi minuti, qui a lavoro, in mezzo a una folla di colleghi che parla ad alta voce. Le mie pupille si sono appannate, rimaste in ipnosi di fronte allo schermo del computer.. Ogni rigo è una pennellata di delicatezza, amore e paziente speranza. Questa poesia sarà preziosa per numerose coppie, è un tesoro da custodire sul comodino. Caro Andrea, sei un marito fortunatissimo con una sposa così bella al tuo fianco!

Liberi i pensieri costruiscono sfumature di colori
E dolce il desiderio di stringerti al petto
Volubile e meravigliosa impronta d’Amore.
Istintivo il piacere di immaginarti
Eguale per particolari allo splendore dell’aurora.
Devoti i miei occhi ai tuoi
Elargisci calore al mio respiro.
Liberi i pensieri costruiscono sfumature di colori…
Signore, Tu che navighi
In ogni angolo della mia testa
Gratifichi le mie giornate
Nutri il mio spirito,
Offrimi il coraggio di aspettare
Regalami la gioia di provare
E rasserena un cuore che vuole essere madre.
Signore, Tu che ascolti
Ogni preghiera e lamento
Nobiliti i miei gesti
Orni le mie fatiche di dolce bellezza,
Insegnami ad essere marito
Non lasciare mai che io lo dimentichi.
Forte per sorreggere la mia sposa
In ogni istante
Nel pieno delle sue paure
In tutti i suoi successi
Totalmente
E poi insegnami ad essere padre

…E LUI ARRIVERA’.

Chiara C.

ps: un occhio sveglio legge sia in orizzontale sia in verticale!!!!

giovedì 16 gennaio 2014

Calpurnia, la moglie di Giulio Cesare

Ho conosciuto on line una giovane blogger come me, è veneta e si chiama Galatea. Entrando nel suo diario, ho trovato l'articolo: "Grandi donne del mondo antico, Calpurnia, la moglie perfetta". Mi è piaciuto molto. Ve lo consiglio:

Diciotto anni. Tanti ne aveva Calpurnia, figlia del potentissimo Calpurnio Pisone, quando il padre si accordò per darla in moglie a Giulio Cesare. Che aveva l’età per esserle agevolmente padre, dato che aveva superato la quarantina. Politico di razza, uomo affascinante, Cesare era famoso per le sue avventure galanti e scapricciate, in gioventù sia con uomini che con donne, tanto che, inviato in Bitinia come legato, si favoleggiava avesse intessuto una torbida relazione con il re Nicomede. Tornato a Roma, prima ancora che la politica, la sua prima passione era stata il gentil sesso, tanto che poche, fra le matrone dell’Urbe, non erano passate per il suo letto, o lui per il loro.

Con le donne però, Cesare ha uno strano rapporto, non da banale libertino: se ne innamora. Oltre a portarsele a letto, se e quando suscitano in lui un interesse non soltanto sessuale, intesse relazioni di lunga durata, che sfidano gli anni. Può tradirle con il corpo, ma raramente le tradisce con l’animo: se Cesare ama, in qualche modo è per sempre.

Lo sapeva la prima moglie Cornelia, figlia di Cornelio Cinna. Si erano sposati neanche diciottenni, quando lui aveva l’età di Calpurnia, insomma. Era stato in accordo fra le famiglie a portarli all’altare. Eppure, una volta conosciuta la moglie, Cesare si era affezionato a lei, l’aveva amata. Tanto che quando il dittatore Silla, salito al potere, gli aveva ordinato di ripudiarla in quanto figlia di un sostenitore di Caio Mario, Cesare, poco più che diciassettenne, aveva risposto un no deciso. E alla minaccia di finire sulle liste di proscrizione e rimetterci la testa non aveva indietreggiato, né si era rimangiato la parola: con la moglie si era rifugiato nei mondi di Sabina, come un fuggiasco, cambiando alloggio ogni notte, vagando di fienile in fienile con l’appoggio di compiacenti contadini, finché Silla, un po’ scocciato che un adolescente gli tenesse testa, gli aveva concesso il perdono e la possibilità di non divorziare.

Ecco, era così Giulio Cesare: leale. Perdonava i nemici, quindi non era in grado di far del male a chi lo amava.

Quello con Calpurnia non è un matrimonio d’amore, non da parte di Giulio Cesare, almeno. L’appoggio del nuovo suocero, Pisone, uno dei sentaori più potenti dell’Urbe, gli è necessario, in questo momento di svolta in cui le frizioni con l’ex sodale Pompeo Magno si fanno via via più aspre, ed è chiaro che prima o poi si arriverà alla rottura. Anche Calpurnia da quelle nozze si aspetta assai poco. A chiarirle quando può essere preso di lei il nuovo marito, è un pettegolezzo succoso sparsosi per Roma proprio nei giorni dello sposalizio: Cesare, il suo Cesare, ha inviato in dono alla sua ex amante Servilia un gioiello di incredibile valore. Perché non se l’è sposata, visto che è tanto legato a lei, e lei è libera? Perché Servilia è sua amante da anni, ma non ha più l’età per donargli un figlio maschio, un erede. E Cesare un erede lo vuole, perché è l’unica cosa che gli manca. Ha avuto una figlia, Giulia, amatissima, sposa di Pompeo e destinata per altro ad una morte precoce. Servilia, quarantenne, non può certo garantirgli una prole. Calpurnia, giovane e bella, sì.

Va dunque sposa a Cesare, Calpurnia, consapevole che il suo ruolo è quello: diventare la madre dei figli del marito. Da brava fanciulla romana, per questo è stata allevata, e conosce il suo dovere. Ha un carattere dolce, remissivo, adattissimo ad essere la moglie e la madre perfetta. La moglie perfetta lo sarà, ma madre no, mai. Ad onta della giovane età e dell’impegno che certo profuse, non restò mai incinta.

Non sappiamo quante lacrime pianse, per quello che dovette sentire come un fallimento personale. Cesare che diventava via via più potente, e quindi sempre più bisognoso di quel maschio figlio legittimo cui lasciare un domani il potere: e lei niente, sterile. La immaginiamo vagare nei templi, pregare ogni dea, affidarsi ad indovine e mammane per piegare il destino, alzarsi ogni giorno chiedendosi se sarebbe stato quello in cui sarebbe stata ufficialmente ripudiata da un marito ormai stanco.

E invece no. Per quanto il bisogno non tanto di un figlio ma di un erede diventasse ormai quasi una priorità, Giulio Cesare non divorziò mai da Calpurnia. La tradì in continuazione, con aristocratiche, schiave, regine. Ma di abbandonarla non se la sentì. Forse gli piaceva quel suo modo quieto di essere moglie, quel suo rimanere nell’ombra, non dare scandalo, non fare mai una scenata. Di lei in effetti non sappiamo niente, non c’è un pettegolezzo che la riguardi, un fiato. In una Roma in cui le matrone collezionavano amanti non appena i mariti partivano per qualche missione (e Cesare lo sapeva bene, perché aveva spesso e volentieri approfittato di quelle assenze) lei niente, non una sbavatura, un sospetto, un cedimento. La deridevano forse come noiosa, ma Cesare, gran conoscitore dell’animo umano, aveva ben compreso che invece era un’altra cosa: fedele. Una dote rara, e forse per questo scelse di tenersela ben accanto.

Soffrì, Calpurnia, parecchio. Non solo per Servilia, ma soprattuto per Cleopatra. Se per le altre amanti di Cesare fu solo la rabbia di moglie tradita, quello per la regina d’Egitto fu odio vero, per quanto silenzioso. Aveva tutto, quella sguardrina, per affascinare Giulio Cesare: soprattutto una mente come la sua, quella di un politico di razza. Era bella, giovane, colta, affascinante, intelligente, spregiudicata. E per di più, e questo per Calpurnia era la sofferenza maggiore, aveva dato a Cesare ciò che lei non era mai riuscita a donargli: un figlio, Cesarione.

Pianse. Dei, come pianse, quando glielo dissero. Si aspettava che, da un momento all’altro, arrivasse un messo con la lettera di ripudio, in favore della puttana egiziana. Ma la lettera non arrivò mai. Arrivò invece Giulio Cesare, il marito, a Roma, reduce vittorioso di mille battaglie e di mille avventure. Si presentò a casa come se se ne fosse uscito la sera prima.

Chiese, Calpurnia? Forse no. Sapeva tutto, ovviamente, come sapevano tutto tutti a Roma. Ma forse le bastò vederlo tornare. Non fiatò neppure quando l’anno dopo fu la regina d’Egitto a venire a Roma, prendendo una villa in affitto, e piazzandosi là, con il figlio bastardo e la sua corte sfarzosa.
La andava a trovare di nascosto, Giulio Cesare? Può essere, ma sempre in sordina, e Cleopatra ne era ben infastidita, perché non si aspettava di essere trattata con la freddezza di una amante clandestina. Ma Cesare era un Romano, e se anche ad Alessandria poteva essere stato il suo compagno, a Roma era Cesare, cioè un uomo che era quasi sul punto di farsi proclamare re. Ma forse non era solo un mero calcolo politico, quello che spingeva Cesare alla prudenza, ma una delicatezza verso di lei, Calpurnia, che forse non gli aveva dato figli, ma lo amava e lo sapeva aspettare, ed era la sua moglie romana, non una regina delle sabbie.

Fatto sta che Cesare non riconobbe mai il suo unico figlio maschio, e mai abbandonò Calpurnia. Rimase con lei, nella loro bella casa, da cui uscì la mattina delle Idi di Marzo, per recarsi in Senato.

Fosse stato per Calpurnia, non ci avrebbe messo piede. Quella mattina, unica volta nella vita in cui lei tentò di imporsi al marito, le inventò tutte per tenerlo con sé. Aveva una brutta sensazione, poi uno dei suoi indovini – quelli che continuava a consultare nella speranza di rimanere incinta – le aveva detto che la giornata era astrologicamente infausta per Cesare.

Pianse. Strillò. Si inventò un malore. Giulio Cesare quasi rimase stupito dell’improvvisa tigna di quella donna di solito tanto remissiva, che mai chiedeva nulla per sé. Era quasi tentato di darle ascolto. Non ci fosse stato Decimo Bruto, uno dei suoi luogotenenti, che venne in casa a chiamarlo, e lo prese in giro perché il grande Cesare non poteva farsi bloccare dalle paturnie di una donnetta, le avrebbe dato tretta, e la storia di Roma forse sarebbe cambiata.

Scelse invece di seguire Decimo, pur se di malavoglia, perché lo reputava amico e commilitone fedele. Scelse male, poiché Decimo, che lui aveva innalzato ai massimi gradi dell’esercito, era invece uno dei congiurati. Lo consegnò agli altri, infatti, alle porte del Senato: così morì trafitto; Cesare, dalle coltellate di ventitrè uomini che si era tirato su come collaboratori ed amici. Se in punto di morte gli scappò solo un tu quoque fu perché era un gran signore.

Dalla sua morte in poi, di Calpurnia si perdono le tracce. Non ne sappiamo più nulla. Non ci è noto come reagì, quante lacrime pianse, se si disperò. Non sono note sue apparizioni pubbliche, uscite, dichiarazioni. Forse anche questo però la dice lunga sul suo carattere schivo. Altre vedove avrebbero tentato di approfittare del loro ruolo per ritagliarsi un qualche spazio in politica, vuoi come custodi della memoria, vuoi come nuove mogli di ambiziosi mariti pronti a cogliere l’eredità del defunto Giulio. Lei no, scompare. Ambizione non ne aveva mai avuta, neppure quella di diventare la prima signora di Roma: le era capitato e l’aveva accettato come un destino, perché era la moglie di Cesare, e per questo era disposta a seguirlo ovunque, persino su un trono. Ora che Cesare non c’è più, lei sparisce, si ritira, perché non amava né Roma, né il potere, solo il marito.

Deve essere stato per questo che Cesare se l’era tenuta vicina in tutti quegli anni: perché fra i tanti e le tante che aveva incrociato nella sua vita e gli erano stati accanto, e però da lui avevano poi preteso favori, e privilegi, e potere, Calpurnia era stata l’unica che lo aveva amato come un uomo. E basta.

Ecco il link:
http://ilnuovomondodigalatea.wordpress.com/2012/12/06/grandi-donne-del-mondo-antico-calpurnia-la-moglie-perfetta/

venerdì 3 gennaio 2014

"Otto paia di calze invece di uno" di Annalena Benini

Entrare nei negozi senza preparazione, senza scudo e senza fiducia in se stessi è molto pericoloso. Entrare con aria svagata e vulnerabile, pensando solo: mi serve una crema, oppure un paio di calze, o una scatola di pennarelli, è una leggerezza grave, portatrice di effetti a lungo termine (mucchi di calzini verdi da smaltire, giraffe impagliate, fiale contro la caduta dei capelli) e danni irreversibili all’autostima. In molti negozi il personale è preparatissimo: non mastica chewing gum alla cassa, non racconta per mezz’ora al telefono i problemi con la suocera (non appartiene insomma a quella versione paradisiaca di commesse che lasciano gironzolare i clienti e alzano gli occhi al cielo alla domanda: ce l’ha anche in nero?). Il personale di ultima generazione si avvicina al possibile compratore con l’apparente scopo di aiutarlo a scegliere. Il reale intento, però, è la privazione di ogni capacità di giudizio: il cliente deve perdere il libero arbitrio e diventare debole, dipendente dalla volontà della commessa. “Signora, che cosa sono quei segni scuri sotto gli occhi? Non conosce questo copriocchiaie?”. La frase viene pronunciata da una distanza molto ravvicinata, mentre gli occhi (sempre enormi) del personale addestratissimo, allenato in corsi di psicologia e di ipnosi, scrutano ogni centimetro della nostra faccia. “Io veramente cercavo un dentifricio”. Ma la guerra è dichiarata: la commessa, con la sola forza dello sguardo, ha comunicato l’esatta portata del disastro estetico che ci riguarda, è pronta a voltarci le spalle perché siamo un caso penoso e lei non ha tempo da perdere, ma esclusivamente per generosità e amore per il genere umano sembra disposta a offrirci un riparo, a farci balenare la possibilità di una soluzione.

In pochi minuti siamo noi a implorare consigli, creme, fondotinta, effetti lifting, illuminanti, correttori, fard, vitamine, e anche un bagnoschiuma alla fragola, poiché abbiamo perso totalmente il controllo. Le raccontiamo anche i problemi al lavoro. Ma lei sorride, adesso, e dice che abbiamo delle belle ciglia, basta solo valorizzarle con quattro prodotti in offerta speciale. E se, entrate nel negozio accanto per un paio di calze, ancora stordite, la commessa volitiva spiega che con cinque paia il sesto è a metà prezzo ma a noi non servono sei paia di calze e proviamo a rifutare, la faccia della commessa è talmente stupita e delusa, ma non delusa per sé, delusa per noi e per la nostra incapacità di risparmiare (“guardi che così spende di più”) che compriamo sei paia di calze, sei paia di mutande e sei paia di pantaloni del pigiama a quadretti, solo per sentirci dire: così si fa, ottima scelta.

Nemmeno nei negozi di giocattoli si è al sicuro: i commessi di nuova generazione fanno dimostrazioni meravigliose, con due pennarelli magici disegnano l’universo intero, spiegano che con quei due pennarelli non serve nessun altro colore, non si scaricano mai, sono garantiti sei anni; comprandone otto c’è anche una gomma magica in omaggio, il sogno di tutti i bambini. Ma a casa i pennarelli perdono la magia, tornano a essere zucche, e i bambini piangono, invocano i commessi, urlano: tu non sei capace. Se non si è abbastanza forti e temprati, quindi, è meglio scegliere gli acquisti online e sbagliare taglia, colore e modello in perfetta solitudine.

di Annalena Benini, da il Foglio.it 19/12/2013

"Primo, recuperare la verità del matrimonio" di Giorgio carbone

«È un contratto»: è questa la risposta più frequente quando domando a gruppi di persone di età eterogenea, già sposate o solo fidanzate, cos’è il matrimonio. Poi, chiedo anche qual è il fine, la meta ultima del matrimonio. E le risposte più frequenti sono: «L’amore, la famiglia, i figli». Raramente qualcuno risponde: «La santità dei coniugi», che è la risposta giusta. Non sono in grado di dire la rilevanza statistica di queste risposte all’interno di un gruppo vasto di popolazione. Però per la nostra analisi per ora è sufficiente sapere che è diffusissimo il convincimento che il matrimonio sia un contratto che ha come meta l’amore e/o i figli. E ne sono convinti un po’ tutti, credenti e non credenti, giovani sposi e anziani, fidanzati o singol.
Questa convinzione dimostra almeno un fatto: a livello comune si sono smarrite due verità circa il matrimonio.
La prima verità dimenticata è che il matrimonio, più che un contratto, è un sacramento. Il contratto dal punto di vista formale è un accordo tra due o più parti che ha per oggetto beni di carattere patrimoniale. Ma il matrimonio è un’altra cosa, è sacramento, cioè una res sacra, un’alleanza tra una donna e un uomo, che trova in Dio la sua origine, la sua consistenza e il suo termine. Perché è Dio Amore che chiama gli sposi all’amore reciproco: il matrimonio non è un incontro fortuito, ma è una chiamata divina, una vocazione il cui attore è Dio. Gesù lo chiama: Ciò che Dio ha congiunto (Marco 10,9).

In secondo luogo, Dio facendo sperimentare la sua misericordia, la sua tenerezza, la sua pazienza al coniuge, chiama questo coniuge a comunicare all’altro la stessa misericordia, tenerezza e pazienza ricevute: questo significa essere ministri di Cristo nel sacramento del matrimonio. I coniugi vivendo insieme e amandosi si scambiano le cose ricevute da Cristo: realizzano così una comunione divina e non soltanto umana, comunione umano-divina che è simile a quella tra Cristo e la Chiesa, comunità dei credenti come dice Efesini 5,25-32: "Voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei [...]". Questo è un grande mistero: lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa.

In terzo luogo, Dio è il termine, cioè il fine del matrimonio, perché il giorno delle nozze il coniuge accoglie la persona dell’altro coniuge in vista di Cristo, cioè per condurlo a Cristo, per camminare insieme verso il Signore: è una vocazione comune alla santità. Ed è questa anche la seconda verità dimenticata del matrimonio: la santità, cioè il desiderio di conversione a Cristo e di conformarsi a lui in tutto nella mentalità e nei gesti concreti[...]
[...] Inoltre, la diffusione acritica dell’opinione secondo la quale il matrimonio sia un contratto e il non considerare che la sua meta è la santità dovrebbero farci prendere atto che spesso i matrimoni che vediamo celebrati in chiesa in realtà non sono sacramenti, cioè sono matrimoni nulli. Gli sposi, pur dicendo sì con le labbra, in realtà non credono al matrimonio come lo crede Cristo e la sua Chiesa. Gli sposi hanno una concezione mondana del matrimonio, è un contratto, e come tutti i contratti è nella totale disponibilità delle parti, le parti possono rescindere il contratto quando vogliono. Quando invece, essendo un sacramento, è una realtà che è di Cristo, ha un’origine, una consistenza e un fine divini [...]

[...] La Chiesa, come comunità di credenti, ha la vocazione di essere sposa di Cristo, evidentemente fedele e non fedifraga.

Quindi, è chiamata ad annunciare sempre la verità del matrimonio sacramento indissolubile perché questo è l’insegnamento di Cristo suo sposo: basti leggere Marco 10,5-9; Matteo 19,4-9; Luca 16,18. Tutti noi credenti se vogliamo vivere la virtù teologale della fede avvertiamo l’esigenza di obbedire e di uniformare la nostra mentalità all’insegnamento di Cristo Signore. Allo stesso tempo non possiamo amare rinunciando alla verità e né possiamo conoscere la verità senza amare: la conoscenza del vero e l’amore del bene sono moti strutturali e identificativi dell’essere umano. In ragione del vero e dell’amore non possiamo generare illusioni in nessuno, e quindi neanche far pensare che la prassi della Chiesa circa l’indissolubilità del matrimonio sia prossima al cambiamento, oppure che dopo il Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2014 le persone divorziate e passate a nozze civili saranno assolte e ammesse alla comunione eucaristica. Se le persone divorziate e risposate civilmente fossero ammesse alla comunione eucaristica, la comunità dei credenti rinuncerebbe a essere fedele a Cristo che insegna l’indissolubilità del sacramento del matrimonio.
A mo’ di conclusione riassumo dei possibili rimedi pratici.
1) Preparare i fidanzati al matrimonio in modo più serio e completo, facendo conoscere che il matrimonio è una cosa di Cristo, e non una cosa degli sposi, è una vocazione divina alla santità;
2) Considerare che tutti i sacramenti sono un dono che la Chiesa riceve da Cristo, e non sono un diritto da rivendicare, così anche la comunione eucaristica;
3) Rendere più snelli e veloci i processi canonici relativi all’ accertamento della nullità del sacramento del matrimonio;
4) Demolire l’opinione diffusa secondo la quale i divorziati risposati sarebbero scomunicati. E piuttosto accogliere questi credenti e far conoscere loro che, anche se vivono in una condizione oggettivamente disordinata che è il convivere con una persona che non è il proprio coniuge, possono e anzi devono vivere la fede, la speranza, la carità, partecipare alla Messa, pregare insieme e singolarmente, vivere la penitenza e il desiderio di conversione e che il dolore e l’amarezza di non poter ricevere l’eucaristia hanno un valore salvifico che può condurle alla sincera conversione del cuore a Cristo Signore.

La Nuova Bussola Quotidiana, del 19/12/2013.
Per leggere l’articolo http://www.lanuovabq.it/it/articoli-primo-recuperarela-veritadel-matrimonio-8009.htm